La responsabilità d’impresa
Ripercorrendo brevemente la storia che hanno attraversato i baby boomer e la generazione x fino ai giorni nostri è inevitabile fermarsi a farsi qualche domanda. Come abbiamo fatto a scivolare da una condizione di benessere apparente ad una pandemia che ci ha riportato a scenari degni della peste dantesca?
Siamo altrettanto sicuri che le tecnologie, le comodità delle quali siamo circondati siano state inventate per migliorare la qualità della vita? E ancora, non si ha l’impressione che la medicina “moderna” abbia lavorato più per prolungare la vita e non per il benessere del paziente?
Partendo dal principio. Dopo la guerra il desiderio condivisibile di riscatto e la voglia di rinascere come paese e popolo è stata la principale leva che ha spinto gli italiani a creare gran parte dell’Italia che tuttora viviamo. Malgrado questo è altrettanto importante considerare che il periodo in cui i figli della guerra sono cresciuti si è dato forma ad una società di per se insostenibile dove, grazie alla grande abbondanza di mezzi (anni 60/70/80) fare impresa e sopratutto denaro era alla portata non solo di geni come Olivetti, ma di quasi tutti. Allo stesso tempo in quel periodo si si sono poste le fondamenta alla condizione soffocante nella quale ci troviamo ora, dove la pressione fiscale e il continuo emergere di norme restrittive sono l’unico strumento “salva Italia” in risposta a decenni di evasione fiscale.
Conosco personalmente imprenditori del tempo che considerano inconcepibile l’impossibilità di “fare nero”. Il fallimento di quelle generazioni è un’ombra oscura che non gli ha toccati in prima persona, perché si è proiettata sulle generazioni successive; noi.
Un esempio e un duro monito che deve essere soppesato con estrema attenzione, poiché nulla come l’imprenditore e la sua impresa ha un impatto sulla società così radicale da poter rendere “sterili” interi territori. Mi spiego meglio: passando la maggior parte del tempo nel luogo di lavoro in maniera inconscia assorbiamo le condizioni emotive che l’ambiente ci offre. Pensiamo ad un luogo di lavoro dove la proprietà considera il proprio benessere e quello dei suoi dipendenti una condizione imprescindibile per generare ricchezza. Un’imprenditore che tiene al futuro del proprio territorio e della comunità poiché da essa dipende anche la continuità della sua impresa. Al contrario se la proprietà non pensa a tali fattori, inevitabilmente questo stato d’animo impatterà negativamente non solo sulle famiglie, sui figli, ma anche nelle istituzioni scolastiche, politiche e nei gruppi sociali. Per questo motivo penso sia fondamentale imparare dal passato e considerare una nuova forma di fare impresa bastata sul concetto di “causa effetto” dove non basta più produrre “cose”, ma è necessario valuta quale l’impatto ha il proprio agire nel medio e lungo termine. E’ necessario così parlare di tecnologie che non si fermano al prodotto, ma ne seguano la sua vita fino alla dismissione e trasformazione. E’ necessario considerare come tali prodotti e servizi agiscono sul corpo sociale e comunitario, così da avere la necessaria percezione di come e quanto contribuiranno a migliorare o peggiorare la qualità della vita. Infine anche e soprattutto il settore medico dovrebbe concentrarsi maggiormente sulla prevenzione e non esclusivamente sulla produzione di presidi volti al trattamento dei disagi, così passando da venditori di “longenvita” a promotori di benessere.
Penso che mai come in questo momento sia il momento giusto per tornare all’etica del pensare a domani in modo comunitario e lungimirante, differentemente la fine è già alle porte.

Articolo pubblicato sul Giornale di Brescia